Secondo uno studio, l’invecchiamento e il malfunzionamento delle cellule che si verifica quando una parte del corpo è danneggiata può diffondersi ad altri organi. Gli scienziati hanno dimostrato per la prima volta che il danno cellulare in un fegato danneggiato può innescare un processo associato all’invecchiamento e alla disfunzione, per poi diffondersi ad altri organi sani del corpo. Hanno inoltre identificato una proteina chiave che potrebbe essere manipolata per prevenire questo tipo di insufficienza multiorgano. Secondo gli esperti, i risultati potrebbero avere implicazioni significative per la comprensione di come le malattie in diverse parti del corpo interagiscono tra loro e di cosa accade nel processo di invecchiamento.
Il blocco di una via di segnalazione potrebbe prevenire l’insufficienza multiorgano
Quando il corpo invecchia, le cellule si affaticano e non funzionano più correttamente. Questo processo, noto come senescenza cellulare, è un effetto comune dell’invecchiamento, ma può anche essere innescato da malattie in qualsiasi fase della vita. La senescenza delle cellule epatiche in seguito a una grave malattia acuta del fegato – che può essere causata da diverse patologie, tra cui infezioni virali o tossine come l’overdose di paracetamolo – può portare a danni irreparabili, con conseguente insufficienza epatica e spesso insufficienza multiorgano. Lo studio, condotto dall’Università di Edimburgo e dal CRUK Scotland Institute, ha scoperto che nei topi con insufficienza epatica improvvisa, una volta danneggiato un numero sufficiente di cellule epatiche, la senescenza si verificava in altri organi, tra cui reni, polmoni e cervello, portandoli al collasso. I ricercatori hanno identificato un’importante via di segnalazione biologica che coinvolge il TGF-β – una proteina associata al sistema immunitario – che, bloccata nei topi, ha impedito che la senescenza delle cellule epatiche si diffondesse ad altri organi.
In futuro, secondo gli esperti, i trattamenti per bloccare questa via di segnalazione potrebbero prevenire l’insufficienza multiorgano nei pazienti con gravi danni al fegato. Il grado di senescenza delle cellule epatiche è stato anche un indicatore significativo della progressione della malattia nei pazienti con grave danno epatico. Il team di studio ha analizzato le biopsie di tessuto epatico di 34 persone con grave malattia epatica acuta. Un alto grado di senescenza delle cellule epatiche all’esordio della malattia è stato associato a un maggior rischio di insufficienza multiorgano e alla necessità di trapianto di fegato. Attualmente non esiste un test in grado di prevedere l’evoluzione improvvisa dell’insufficienza epatica all’esordio. Il monitoraggio della senescenza delle cellule epatiche potrebbe aiutare a identificare i soggetti più a rischio, compresi quelli che probabilmente avranno bisogno di un trapianto di fegato, ha dichiarato il team di ricerca.
Nuove terapie per il trattamento delle malattie epatiche gravi
Lo studio, finanziato principalmente dal Wellcome Trust e dal Cancer Research UK, è stato pubblicato sulla rivista Nature Cell Biology. Il team di ricerca era costituito da una collaborazione tra gruppi dell’Istituto CRUK Scotland, dell’Università di Newcastle e dell’University College di Londra. Il ricercatore principale dello studio, il professor Tom Bird del Centre for Inflammation Research dell’Università di Edimburgo e del CRUK Scotland Institute, ha dichiarato: “Le implicazioni dei risultati sono potenzialmente molto profonde. Potrebbe trattarsi di un modo in cui una grave malattia, anche in un singolo organo, può portare al malfunzionamento di molti organi del corpo. Ma potrebbe anche insegnarci come prevenire questo fenomeno, sia nelle malattie improvvise che in una serie di patologie che si manifestano nel corso degli anni o addirittura dei decenni con l’invecchiamento”.
Questi risultati forniscono le prime indicazioni sul perché un grave danno al fegato porti all’insufficienza di altri organi, come il cervello e i reni, e alla morte. I ricercatori sono stati in grado di convalidare queste nuove ed entusiasmanti osservazioni nei pazienti, indicando la strada per lo sviluppo di biomarcatori che possono essere misurati nel sangue per identificare i pazienti a rischio, nonché di nuove terapie per trattare le malattie epatiche gravi.